Dietro Hymn of death

Scorrendo i titoli coreani del catalogo Netflix vi sarete sicuramente imbattuti in quello di cui parleremo oggi. Hymn of Death, un mini drama in 3 episodi del 2018 con protagonisti Shin Hye sun e Lee Jong suk.

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Ma quello che faremo non è parlare in senso stretto del drama, quanto della storia che vi sta dietro. Sì, perché Hymn of Death è ispirato a una storia vera che ha riempito i giornali e le conversazioni dei coreani del 1926. L’arte che unisce e la scelta di amare liberamente una persona in un tempo in cui la libertà era un miraggio, un tempo in cui l’amore libero era solo nei romanzi volgari, un tempo in cui ancora, soprattutto da chi era lontano, veniva utilizzato il nome Joseon per riferirsi alla madre patria ( termine che in realtà ancora oggi viene utilizzato in Corea del Nord).

Come sempre cerchiamo di contestualizzare. Nella storia raccontata da questo drama ci muoviamo tra il 1921 e il 1926 quindi siamo in pieno periodo coloniale. l’impero giapponese colonizzò la Corea dal 1910 al 1945 e come alcuni storici sostengono, questo periodo può essere suddiviso in tre fasi: gli anni ’10, gli anni ’20 e poi il periodo dal ’30 al ’45. Senza addentrarci troppo nei tre periodi possiamo affermare che, dopo i primi 10 anni di forte repressione in cui il Giappone utilizzò ogni mezzo possibile per schiacciare e cancellare di fatto la cultura coreana e soprattutto l’identità dei coreani, obbligandoli anche a non esprimersi con la loro lingua o a cambiare i loro nomi in nomi giapponesi, e gli ultimi 15 anni dal ’30 al ’45 con l’impero giapponese sempre più aggressivo e deciso ad espandersi e affermare la supremazia in Asia, gli anni ’20 sono stati quelli di un leggero allentamento, assolutamente fittizio e di facciata. Furono permesse alcune forme espressive e alcuni ruoli all’interno della società vennero restituiti ai coreani. Ma perché dico che era fittizio? Perché il Giappone usciva in difficoltà e in crisi dalla prima guerra mondiale e ovviamente decise di sfruttare al massimo tutte le risorse che i coreani potevano offrire e queste forme di espressione, come il giornalismo, la poesia, la letteratura o i ruoli amministrativi concessi, per quanto “restituiti” erano sotto strettissima sorveglianza e fortissima censura che di fatto annullava la reale libertà di espressione. In più tutto questo non aiutava i limiti e la chiusura verso certi atteggiamenti e certi “scandali” già presenti tra la gente. Questi furono gli anni in cui le giovani donne iniziavano faticosamente a conquistare l’istruzione. La prima scuola femminile “Ewha University” fu aperta nel 1886 da missionari americani. I primi anni di apertura furono un fallimento, non vi era modo di convincere le famiglie a concedere questo lusso alle proprie figlie. Solo dopo il 1919 e la partecipazione della Ewha al movimento del 1°marzo, le studentesse iniziarono ad aumentare. Con la conquista dello studio iniziarono anche a cambiare i propri sogni, i proprio obiettivi aspirando alle arti come la musica, la scrittura e il teatro e a modernizzare anche il loro aspetto, dall’abbigliamento più alla moda e “audace”, alle pettinature ispirate ai modelli occidentali. Ma al crescere dell’ interesse in questo tipo di conquiste cresceva anche lo scetticismo e la critica sociale ancora fortemente ancorata ai principi del confucianesimo. Questo rendeva la vita non sempre facile a molti artisti che o non venivano capiti o venivano accusati di essere ribelli e quindi arrestati dai giapponesi, o di tenere una condotta di vita scandalosa e quindi ostracizzati dall’opinione pubblica. Ma cruciale fu anche l’idea, che crebbe sempre più forte tra i giovani intellettuali, di volersi opporre ai matrimoni combinati e di voler scegliere liberamente la propria compagna di vita. Questo desiderio provocò moltissimi gesti estremi, un’opposizione così forte e passionale da decidere di togliersi la vita con il proprio amato o la proprio amata. Diverse sono state le morti per suicidio in questo periodo che destarono scalpore riempiendo le pagine dei quotidiani. Come per Choi Hyang hwa, una ballerina di 19 anni o la più famosa Kang Myeong hwa di 23 anni, una giovane donna, una gisaeng che si innamorò di Jang Byeong cheon, un giovane proveniente da una buona famiglia che si oppose fortemente all’unione e che fece prendere la decisione alla ragazza di avvelenarsi seguita dal suo acerbo amore.

Ma addentriamoci adesso in Hymn of Death. Queste sono le dinamiche in cui si muovevano i protagonisti della nostra storia. Ma chi erano Yun Shim Deok e Kim woo Jin?

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Una coppia di artisti in campi diversi, ma uniti dalla stessa passione. Tra i due chi gode di più fama è senza dubbio Yun Shim Deok in quanto la prima soprano coreana. Nata nel 1897 da una famiglia umilissima, che però permise a tutti e quattro i figli di muoversi nel campo degli studi musicali. Lei è la secondogenita ed è riuscita come moltissimo impegno e sacrificio a portare avanti gli studi che l’hanno addirittura condotta nella scuola di musica di Tokyo, fu la prima coreana a riuscire in questa impresa.

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Fu proprio a Tokyo che avvenne il fatale incontro. Nel 1921 conobbe Kim Woo Jin, studente di letteratura inglese della sua stessa età e aspirante drammaturgo e poeta con il nome d’arte Kim Soosan, pioniere del genere drammatico moderno coreano e che proprio in quel periodo stava scrivendo uno spettacolo con l’aiuto degli altri studenti coreani dell’associazione teatrale.

L’incontro tra i due fu fatale, ma oltre alla sconvenienza del frequentarsi senza il consenso dei genitori, a peggiorare la situazione era la condizione di Kim Woo Jin che in Corea aveva moglie e figli, matrimonio combinato come era normale che fosse. Questo non li fermò e iniziarono una relazione extraconiugale che fu anche il punto di arrivo delle loro esistenze.

La vita di Sun Shim Deok, già complicata si complicò ulteriormente. Una volta diplomata tornò in Corea, ma la sua carriera da soprano non spiccò di certo il volo e così fu costretta a diventare anche una cantante pop e non disdegnare la recitazione pur di guadagnarsi da vivere e aiutare la sua famiglia. Ma era un donna e improvvisamente il suo amore si trasformò tra la gente in una serie di scandali che la vedevano coinvolta in diverse relazioni, minando ulteriormente la sua reputazione. La relazione proseguì fino al 1926 quando, come altre giovani coppie, decisero che l’unico modo per non separarsi era togliersi la vita insieme e così il 4 ottobre del 1926 si gettarono insieme in mare durante l’ultimo viaggio che li avrebbe portati dal Giappone a Busan.

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Pochi giorni prima della morte la cantante, in una casa discografica di Osaka con l’accompagnamento di sua sorella al pianoforte, incise la canzone per la quale viene ricordata lei e il suo sfortunato amore 사의 찬미 “Inno alla morte”. La canzone fu pubblicata due settimane dopo con il ricordo “L’unica soprano di Joseon che scrisse l’inno alla morte come suo ultimo messaggio e si gettò nel grande mare blu”. La canzone ebbe enorme successo tra i giovani che stavano vivendo un momento di profonde incertezze, soprattutto in seguito al fallimento del movimento del 1° Marzo 1919 e delle repressioni giapponesi. Tale successo e il sentimento che lo accompagnava portò anche momenti di paura al governo giapponese, il quale temeva che proprio questo sentimento si trasformasse in rabbia e portasse a nuove forti rivolte.

Il drama che racconta la loro tormentata storia è ovviamente romanzato, creando situazioni necessarie alla trama per renderla più appassionante, ma mantiene le linee guida di quella che è stata la realtà.

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È scritto bene e recitato altrettanto bene. Gli attori non sono particolarmente rassomiglianti fisicamente ai veri protagonisti, ma d’altronde i canoni estetici nel tempo cambiano e poi sono attori molto amati e di talento nel panorama dei kdrama.

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Non è però la prima volta che questo amore viene portato sulle schermo, infatti nel 1991 ne è stato fatto un film 사의 찬미 con il titolo inglese di “Death song”, del regista Kim Ho Sun e con Chang Mi Hee che interpreta la cantante e Kim Sung Min il drammaturgo. Film che ha avuto parecchio consenso e ai Blue Dragon Film Awards vinse praticamente tutto: miglior film, miglior regia e entrambi gli attori protagonisti. Film che però io ancora, purtroppo, non ho avuto modo di vedere, ma spero di poter rimediare.

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Come al solito mi sono dilungata forse un po’ troppo, ma spero di avevi dato qualche informazione e curiosità in più per godervi il drama se avete voglia di vederlo ( e io ve lo consiglio) o se lo avete già visto di avervi dato modo di approfondire.

Anche oggi se siete arrivati fin qui vi ringrazio e ci leggiamo alla prossima!

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4 thoughts

  1. Grazie per il bel articolo e per la contestualizzazione storica di un film che avevo visto già l’anno scorso (quando è uscito su Netflix) semplicemente seguendo la scia degli attori che già amavo…(lui per aver visto per primo W e lei per 17 but 30…che in effetti non c’entravano niente con questa storia drammatica!!)
    Mi affascina la storia parallela del popolo coreano e il nostro (occupazione asburgica della prima guerra mondiale, motti rivoluzionari ma anche dittatura mussoliniana e resistenza…) e le storie dei suoi piccoli, grandi eroi ed eroine.
    In effetti il film è fatto così bene che non ‘stanca’ la parte storica e si può godere della drammatica romance….sul finale Romeo & Juliet docet…e non potrebbe che essere la morte ad assicurare l’immortalità di un grande amore…
    Grazie per i tuoi contentuti, Cristina

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    1. Grazie infinite a te per aver letto l’articolo, sono molto felice ti sia piaciuto e concordo pienamente, la cosa che infatti mi affascina moltissimo è esattamente questo parallelismo tra le due culture e la storia che le ha segnate. Ci sono diversi punti in comune e questo forse la rende più comprensibile anche a noi!

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  2. Ho visto ieri sera su Netflix il kdrama e sono rimasta affascinata dalla storia dei due amanti . L’unica libertà concessa nel loro Paese vessato dalla tradizione e dall’occupazione giapponese per amarsi è quella di uccidersi. Amo molto la filmografia coreana che ti conduce dentro la realtà della Corea di ieri e di oggi senza essere didascalico e pedante ma con una maestria ed un realismo che mi riporta indietro nel tempo alla migliore filmografia italiana ormai morta e sepolta . La storia è bellissima recitata con una grande intensità da cui traspare il pudore per il proprio sentimento e l’amore per la libertà del loro amato Paese .

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    1. I coreani hanno una capacità innata nel riuscire attraverso il cinema, ma anche la letteratura, a raccontarsi. Lo fanno in modo quasi istintivo e spesso anche in opere che apparentemente non lo esplicitano, stanno riflettendo qualcosa del loro vissuto travagliatissimo. In questi ultimi anni poi anche nei kdrama, che hanno produzioni decisamente più importanti rispetto al passato e una maggiore accuratezza, si riesce a trattare in modo molto convincente determinati temi.

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