Ci sono stati momenti della mia vita, soprattutto durante il periodo da studentessa fuori sede, in cui mi cibavo voracemente di film horror. Sono anni che ricordo con grande gioia che hanno contribuito a costruire bellissimi ricordi e consolidare amicizie che sono diventate fraterne, quindi alle maratone horror devo molto. Quando dico maratone mi viene subito in mente una nottata in un piccolo cinema di Bologna nel lontano (forse) 2004 in cui io e quelli che sono poi diventati due tra le mie certezze siamo entrati alle 20.00 e ne siamo usciti alle 06.00 del mattino seguente passando ore a guardare e sonnecchiare per poi svegliarsi di soprassalto, un horror dietro l’altro… cose che a pensarci adesso in questo anno che realmente ha dell’orrore sembrano fantascienza. Insomma il mio debito con questo genere è alto ed è per questo che ho pensato, visto che Halloween si avvicina, di proporvi una serie di visioni (tra film e kdrama) e di letture sul genere, ma tutte dedicate alla Corea.
Il cinema horror asiatico ha vissuto anni floridissimi in cui sono stati sfornati moltissimi film, alcuni degni di nota e altri decisamente meno, con tanto di remake e saghe senza fine. La Corea del sud ha messo del suo e io ho cercato di mettere insieme i titoli che a me personalmente sono rimasti più impressi. L’influenza più grande nel genere in Corea deriva da show storici come Hometown legends che tra gli anni ’70 e gli anni ’80 ( con un seguito nel 2008) hanno iniziato ad introdurre le figure spettrali o dai manhwha che negli anni hanno giocato molto con il genere alimentando il desiderio sempre crescente di registi e sceneggiatori di allargare al cinema.
Anticipo che non ho inserito la trilogia della vendetta di Park Chan wook, anche se spesso nominata nel genere, considerata cult e adorata anche da me, per due motivi: primo perché sono fermamente convinta sia impossibile incasellare questa trilogia in un un genere ben preciso e poi di conseguenza perché ci sarebbe così tanto da dire che dovrei fare un articolo solo per questa. C’è un intero mondo in questa trilogia che non si può liquidare in poche righe tra tante altre o in un genere.
Detto questo iniziamo dal più ovvio, forse, ma anche quello che secondo me è il migliore film sugli zombie di sempre (non me ne voglia l’immenso Maestro Romero) ovvero:
Train to Busan

Seok Wook lavora nella finanza, è separato dalla moglie e vive a Seoul con la figlia alla quale non riesce a dedicare il giusto tempo e le giuste attenzioni. La bambina inizia a soffrire di questa situazione e decide che vuole andare a trovare la mamma a Busan. Nonostante le resistenze del papà, non demorde e Seok Woo è costretto a cedere e prendere quel treno che dalla stazione di Seoul dovrebbe condurli a destinazione. Tutto molto semplice, se non fosse che un virus si diffonde tanto velocemente quanto quel treno si sposta di stazione in stazione trasformando la popolazione in zombie e così questo viaggio diventa una vera sfida per la sopravvivenza agli zombie che stanno conquistando ogni spazio vitale, ma anche all’aspetto più crudele e primordiale del genere ancora umano.

È un film bellissimo perché nella trama apparentemente molto classica, nasconde tutta una serie di storie e riflessioni sulle relazioni, sulle necessità, sulle priorità, sulla paura e sul pregiudizio. Ogni personaggio che si incontra ha un arco narrativo ben delineato e preciso, contribuendo all’evoluzione della trama e arricchendola. La tensione è sempre alta, spezzata da qualche scena iconica e qualche battuta congegnata per diventare cult. Sono convinta che molti di voi lo avranno già visto perché questo è un film che è diventato un classico il giorno stesso in cui è uscito nelle sale, ma in caso contrario io vi consiglio di non lasciarvi frenare dall’idea che sia il solito film sugli zombie… Io ho pianto… In un film di zombie sì e vi prometto che alcuni personaggi non ve li dimenticherete più!
Two Sisters

Film del 2003 di Kim Ji woo, ancora ne “l’epoca d’oro” del cinema horror asiatico e che per me è un grandissimo esempio di stile. Una giovanissima Im Soo Jung nei panni della protagonista che torna a vivere con la sorella il padre e la matrigna dopo aver terminato un percorso di cura in un ospedale psichiatrico. Le tensioni sono evidenti fin da principio e la casa pare nascondere qualcosa. Della trama non vi dirò una parola di più perché in questo film più che mai vi rovinerei la visione. È uno di quei film per cui vi farete mille domande fino a quando tutto verrà chiarito perché è costruito in maniera discontinua, su più livelli, con molti flashback e indizi che però sono nascosti piuttosto bene e incastrati in modo da rimescolare le carte e confondere. C’è la giusta dose di crudezza e di jumpscares in un crescendo di instabilità che sembra un incubo da quale ci si sveglia in un’altro incubo.
All’inizio dell’articolo ho detto che non avrei inserito la trilogia della vendetta, ma sicuramente parliamo di Park Chan wook di cui vi nomino
Thirst

Film d’autore del 2009 che non ha di certo bisogno della mia presentazione, ma che non si può non inserire in questa lista di consigli perché mostra come il maestro dell’eccesso e della provocazione prende in mano il cinema di genere lo destruttura e lo ricompone. La sperimentazione è tipica del suo stile e per quanto qualche perplessità questo film la lasci è un bellissimo esempio della poetica di Park Chan wook anche in questo campo. Dopo gli zombi sfatiamo il mito del vampiro affascinante e dall’aspetto nobile di Anna Rice (che comunque fanno parte del mio bagaglio) o dell’adolescente glitterato della Meyer perché i vampiri in Thirst sono creature in preda agli impulsi che lottano con la loro ambivalenza, col desiderio carnale e l’horror è un pretesto per sottolineare questa dualità.
Sang hyun (interpretato da Song Kang ho) è un prete giovane e moderno che attraversa una crisi e che decide di offrirsi volontario in una missione in Africa in cui diventa la cavia nella ricerca di un vaccino per una malattia che sta dilagando. Tramite una trasfusione gli viene somministrato il virus, trascorre un periodo di manifestazione virale e nonostante quello che sembra essere un suicidio certo, un sacrificio, sopravvive tornando in Corea come un salvatore. Ma tutto questo ha una conseguenza su di lui, ovvero un irresistibile desiderio di nutrirsi di sangue umano che inizialmente si procura negli ospedali per non cedere alla necessità di far del male e di oltrepassare un limite inaccettabile. Ciò che complica la sua esplorazione nelle pulsioni è l’incontro con Tae Joo, la moglie di un suo amico d’infanzia che viene maltrattata dal marito e dalla suocera e con la quale cederà irrimediabilmente alla lussuria e ad un desiderio così profondo da innescare una serie di azioni che culmineranno nel finale intensissimo. Ciò che colpisce di più è l’evoluzione dei personaggi, la loro trasformazione. Sono costruiti in modo da mettere sempre in evidenza la lotta e il contrasto tra sacro e profano, tra il corporale e sfera spirituale. I registri narrativi sono molti e si susseguono chiaramente nel film dando sfumature differenti dall’horror, al thriller, al noir, all’erotico fino a scene tipiche di un romance e qui sta la grande forza, la grande esperienza di un regista che dimostra la sua padronanza. Ripeto qualche perplessità la lascia, ma ci si passa sopra perché il quadro nel complesso è così affascinante e ipnotico da tralasciare qualche pennellata qua e la fuori posto. Per correttezza avviso che ci sono scene soprattutto di sesso piuttosto forti e violente quindi se siete particolarmente sensibili tenetene conto, per il resto cosa devo aggiungere è Park Chan wook!
Quando si parla di horror non possono mancare le saghe e la Corea del sud ne ha sfornata una che ha avuto una grande fortuna, sto parlando di
Wispering Corridors

Il primo capitolo che da il nome alla saga è uscito nel 1998 ed è seguito da altri quattro film: Memento mori, Wishing Stairs, Voice e blood Pledge. Noi oggi parleremo nello specifico dei primi due che secondo me sono i più belli, ma comunque ogni capitolo è completamente slegato dall’altro compresa la regia e l’unica cosa che li accomuna è l’ambientazione, tutti infatti si sviluppano all’interno di instituti scolastici. Anche in questo caso si utilizza l’horror come mezzo per esprimere qualcosa di più complesso, erano gli anni in cui la censura veniva eliminata (almeno formalmente) dopo le parentesi terribili dei governi militari e spesso nei film venivano espresse critiche, in questo caso c’è una grande critica al rigidissimo sistema educativo nelle scuole coreane.
In wispering corridors (il primo film quindi) siamo in un istituto femminile in cui la preside, La signora Park, è famosa per essere stata un’insegnante durissima e violenta e il film si apre proprio con lei che osservando gli annali della scuola si rende conto che ogni tre anni nell’istituto si manifesta qualcosa di strano che si ricollega alla morte di una studentessa di anni prima. In preda al terrore telefona a Eun Young che scopriamo subito essere stata un’amica di Jin Ju (la ragazza morta) e attualmente insegnante, raccontandole la scoperta e dicendole che Jin Ju è morta, ma non ha mai lasciato la scuola. La signora Park il giorno dopo viene trovata impiccata nel cortile. Da qui iniziano a manifestarsi strani episodi che oltre a Eun Young coinvolgeranno le studentesse e un professore disgustoso che le maltratta e molesta. Fenomeni che intrecciandosi sulla trama si snoderanno con la rivelazione finale. Come e perché Jin Ju aleggia tra i corridoi della scuola dovrete scoprirlo da voi.
Memento Mori

Memento Mori è il secondo capitolo, è del 1999 e ricollegandomi al discorso precedente sulla critica sociale, qui si mostra ancora più forte. È un film molto profondo che tocca temi grandi come l’orientamento sessuale, il bullismo, il pregiudizio, l’intolleranza in una società che è stata indottrinata in un certo modo e che alimenta la competizione. Devo dire che di aspetti puramente horror ce ne sono meno, si c’è qualche scena fatta anche molto bene, qualche fenomeno paranormale, ma il terrore deriva proprio da queste profonde riflessioni. Racconta la storia di Hyo Shin e Shin Eun due studentesse unite da un legame fortissimo, telepatico, un amore intenso, che però le porterà all’emarginazione e a chiudersi nel loro mondo fatto di luoghi nascosti (come il tetto della scuola) e soprattutto tra le pagine di un diario che si scambiano quotidianamente. Min Ah, una loro compagna, trova nel cortile questo diario e se lo porta via. Sarà proprio lei e la sua curiosità a rivelare a noi spettatori le pagine del diario che è un vero e propio protagonista della storia perché è il mezzo tramite il quale ci vengono mostrate le dinamiche della trama. Una trama della quale non è facilissimo parlare perché non è rivelata in maniera lineare e spesso si rimane confusi domandandosi se ciò che si sta guardando è la realtà o un’illusione, se è presente, passato o magari futuro. Un giorno però Hyo Shin si butta giù da quello stesso tetto in cui si rifugiava con Shin Eun e a noi viene subito alla mente una frase letta sul diario: “Se una delle due morisse, l’altra la seguirà in un giorno di pioggia”.
Altra categoria di film horror sono quelli che si ispirano (anche sono nell’idea) a leggende e fiabe e in questa lista ne ho inseriti due
Piper

Film del 2015 ispirato alla leggenda del pifferaio magico. Siamo negli anni ’50 la guerra è finita da poco e un pifferaio con suo figlio malato di tubercolosi si mettono in viaggio verso Seoul con un foglietto sul quale, secondo loro, un soldato americano avrebbe scritto un indirizzo al quale recarsi per curare la malattia del bambino. Stanchi e affamati arrivano in un piccolo villaggio tra lo sguardo sospettoso e inquietante dei suoi abitanti. Convinto il capo villaggio a dargli qualcosa da mangiare e un giaciglio per passare la notte prima di ripartire, si accorgono che il villaggio è invaso da topi molto aggressivi e famelici e si propone di aiutare nella disinfestazione in cambio di denaro che potrà usare per le cure del figlio. Lui è un pifferaio molto abile che riesce ad attirare i topi con la musica e aiutandosi con le sue conoscenze sui rimedi medicinali potrebbe aiutarli a sconfiggere la piaga di questa invasione. Nel frattempo conosce Mi Sook che è appena diventata la sciamana del villaggio (interpretata dalla mia amatissima Chun Woo hee) e col passare delle ore scopre che il villaggio non è quello che sembra e che nasconde molte cose e un tragico destino.
Red Shoes

Come è facile da intuire questo film del 2005 è ispirato alla fiaba “Scarpette Rosse” dei fratelli Andersen (che potrebbero ispirare film horror fino alla fine dei tempi).
Sun Jae (interpretata da Kim Hye soo) è una donna incastrata in una lussuosa menzogna. La sua vita “perfetta”, in un appartamento nel cuore della Seoul ricca, auto costosa un marito in carriera, una figlia in piena salute. Una vita perfetta… si ma cosa significa per lei questa perfezione che la società le chiede di ostentare? Perfetta per chi? Forse non per lei che dentro quella gabbia dorata si è rinchiusa rinunciando alla carriera medica, alla sua intimità con il marito che ormai non esiste più e a “elemosinare” l’attenzione della figlia che vive per la figura paterna. Questo castello stregato all’apparenza fatato si sgretola definitivamente quando scopre il tradimento del marito. lascia casa portandosi via la figlia e a tutto si aggiunge l’emarginazione della società nei confronti delle donne che scelgono di separarsi e qui ancora una volta in un film horror troviamo la critica di sfondo, vi sarete resi conto a questo punto che è un elemento tipico di questo genere in Asia.
Per alleggerire il peso che si sente sulle spalle l’unica cosa che si concede è l’acquisto compulsivo per scarpe particolari che le danno la sensazione di ritrovare la sua sicurezza smarrita. Una sera nella stazione della metropolitana vede un paio di scarpe bellissime e nuovissime abbandonate sulla piattaforma e le prende con se. Dal primo momento in cui le mette ai piedi si sente di nuovo la persona forte e affascinante che si sentiva un tempo, capace di osare, padrona della sua vita e l’attrazione per queste si fa sempre più forte, ma le scarpe nascondo un terribile maleficio per cui chiunque le indossa va incontro ad una fine orribile. Quando se ne rendo conto si accorge anche che lei non è l’unica ad aver indossato le scarpe e ad avere un’ossessione per esse. Nella seconda parte del film viene spiegata la storia delle scarpe e alcune immagini sono davvero molto belle. Anche qui indubbiamente ci sono dei difetti perché in alcuni momenti risulta un pò forzato e snervante, ma riesce a creare la giusta dose di ansia e inquietudine e cresce fino al culmine del finale. Kim Hye soo bravissima, ma che ve lo dico a fare sembra nata per interpretare ruoli in film dai ritmi serrati.
piccola curiosità: noterete fin da subito che le scarpe non sono rosse, ma rosa e questo pare essere riconducibile all’immaginario che ne hanno in Core del sud. All’uscita del film “le scarpette rosse” di Pressburger che in Corea del sud è uscito nel 1954 (quindi subito dopo la fine della guerra di Corea) il nome e il colore delle scarpe è stato cambiato perché si voleva evitare di far rivedere alla gente il colore rosso del sangue… oppure per non ricordare i comunisti? Chissà…
Epitaph

Film del 2007 di Jung Bum sik e Sik Jung. Eccoci arrivati a quello che probabilmente è il mio film preferito di questa lista e per il quale ho un timore referenziale perché ho paura di non trovare le parole giuste per un film che è di un’eleganza e di una profondità incredibile. Ma andiamo con calma. Il film inizia con una scena nel 1979 in cui un anziano medico, il dottor Park, si ritrova tra le mani un vecchio album fotografico di quando era solo uno stagista facendo scattare i ricordi e così, lui e noi insieme a lui, veniamo catapultati nel 1942 e nei misteri dell’ospedale Anseong. Il giovane dottor Park era promesso sposo per volere dei suoi genitori ad una ragazza che non aveva mai visto e che non sposerà mai perché si suicida prima di incontrarlo. Di guardia la notte all’obitorio si innamora del cadavere di una ragazza che si scoprirà essere la la sua defunta promessa sposa. Questo è il punto di partenza e la cosa che ho amato di più è che il film è esposto come se fosse una raccolta di racconti con un filo conduttore, così accanto alla storia del giovane Park che rivedrà il suo sviluppo nel finale, abbiamo una bambina che sopravvive ad un brutto incidente nel quale perde i genitori ed è tormentata da incubi terribili, le indagini su un serial killer che uccide soldati giapponesi che prendono una strana piega e un neurologo che sospetta della moglie che ha strani atteggiamenti. Alcuni passaggi sono di una bellezza e di una poesia incredibile, tutto è raccontato con continui flashback e ricordi frammentati, ma costruiti in modo intelligente e con un significato non solo ai fini della storia che si costruisce passo passo, ma anche per un profondo pensiero sulla morte, sulla perdita e sul senso di colpa e nonostante lo smarrimento che si prova durante la visione alla fine rimane un grande senso di soddisfazione per un film che lascia il segno.

Passiamo adesso agli ultimi due titoli rispettivamente del 2016 e del 2019 entrambi con tema centrale la possessione che è un altro grande classico del genere.
Guksung

Gunksung è opera di Na Hong Jin, regista amato e abile nel thriller che con questo film ha oltrepassato il confine immergendosi in un horror che mi ha tenuta incollata al muro durante e dopo perché mi ha lasciato così tante domande e riflessioni che forse me ne bastava la metà per affermare: “sì questo film decisamente funziona e fa paura” di una paura irrazionale, ma così reale, se si colgono i messaggi che contiene, da rimanere un pochino destabilizzati.
Jong goo è un poliziotto piuttosto semplice, vive in un piccolo paese e non è abituato a grandi avvenimenti figuriamoci a quello che sta per accadere. Si ritrova sulla scena di un crimine abominevole, un uomo ha letteralmente sterminato la sua famiglia e ora siede esanime, inebetito e pieno di piaghe sul corpo nel porticato di casa. Questo già basterebbe a far andare in crisi il piccolo paese, ma non sarà l’unico caso e anzi si scateneranno una serie di eventi tra omicidi di massa, sparizioni, suicidi, figure ambigue che svelano inquietanti retroscena, creature che si aggirano nel bosco e un’epidemia che fa sempre più vittime. La polizia non riesce in nessun modo a dare spiegazioni e deambula nella più totale confusione, ma tutto pare essere ricollegato all’arrivo di un pescatore giapponese. Jong goo inizia a perdere il controllo, già precario, quando scopre che nella casa del pescatore tra altarini e fotografie raccapriccianti c’è la scarpa di sua figlia che subito dopo inizia ad avere strani atteggiamenti. Dove la polizia e la scienza non arriva pensa a questo punto possa arrivare uno sciamano e così viene chiamato il migliore. Mi fermo qui e vi lascio scoprire da voi. Questo film è una grandissima metafora (che contiene la critica al pensiero contemporaneo) sul male che arriva improvvisamente, che non è facilmente riconoscibile perché potrebbe essere ovunque. Una frase detta nel film rimane impressa, si paragona il male ad un pescatore che “butta l’esca e aspetta che qualcuno abbocchi” non c’è un disegno, sceglie casualmente le sue prede, chi in quel momento è più debole abboccherà. Ed ecco la critica di fondo alla società, Il male ha molte forme non necessariamente demoniache, subdolamente butta l’amo e aspetta e non si vede fino a quando è troppo tardi. Un plauso particolare va alla piccola attrice che ha interpretato la figlia di Jong goo perché è stata bravissima ( io non ce l’avrei mai fatta). Anche l’estetica del film è eccezionale e le scene dei rituali sciamanici sono meravigliose. Uno degli horror meglio riusciti degli ultimi anni.
Metamorphosis

Visto in occasione del Florence Korea Film Fest di quest’anno e ve ne parlai già su Instagram. L’ho subito, l’ho subito molto nonostante sia il classico film sulle possessioni in cui di fatto non c’è nulla di nuovo, anzi io l’ho visto come un grande tributo a “l’esorcista” che indubbiamente ha aperto la strada a questo genere che ha inesorabilmente influenzato. Se vi dicessi che è originale vi direi una bugia, ma nella sua canonicità a me è piaciuto molto perché ha fatto il suo lavoro ovvero farmi mangiare le mani per tutta la durata. Classica situazione in cui una famiglia arriva in una casa che nasconde “un’ospite” che non ci metterà molto a manifestarsi, trascinando la famiglia nel più grande incubo. Quello che mi è piaciuto molto è la scelta di non rendere un membro della famiglia il posseduto, ma di far passare il demone da un membro all’altro creando un senso di instabilità notevole, perché non sai da chi aspettarti cosa. Il fratello del padre è un prete che in passato ha avuto un’esperienza di esorcismo che lo ha segnato a tal punto da non praticarne più. Vista la situazione della famiglia viene chiamato in aiuto e sarà suo il compito di capire chi è il prescelto nonostante non si senta pronto. Non mancano i colpi di scena, ma anche qui… nulla di troppo inaspettato. La recitazione è eccezionale e il cast perfettamente scelto (la mamma è interpretata da Jang Young nam che per me è PERFETTA in questi ruoli, oltre ad essere bravissima in generale). Insomma se come me siete particolarmente spaventati da questi soggetti ve lo consiglio.
Archiviamo i consigli per quanto riguarda i fil e passiamo ora ai kdrama per i quali vi darò due titoli e per uno in particolare, vista la lunghezza già impegnativa dell’articolo, sarò fulminea anche perché è talmente famoso che non c’è bisogno di spendere troppe parole e sto parlando di
Kingdom

Kingdom fa parte della lista di titolo coreani di produzione Netflix che negli ultimi tempi, visti gli accordi con la maggiore casa di produzione coreana, sono approdati sulla piattaforma. È uno storico che probabilmente avrete già visto tutti. Ambientato in epoca Joseon, il Re è gravemente malato e a nessuno è dato il permesso di vederlo, neanche al principe ereditario che si ritrova in mezzo ad una cospirazione politica che lo vuole fuori dai giochi di potere. Mentre tenta furtivamente di recarsi dal padre vede un mostro attraverso la porta e sente un forte fetore, improvvisamente viene allontanato dal palazzo del Re ma si ritrova tra le mani il nome di un medico che potrebbe aiutare la salute del padre e così parte in spedizione, se non fosse che si ritrova in mezzo all’inimmaginabile, un’epidemia che sta trasformando tutti in zombie. Da vedere sicuramente per la cura dei dettagli, degli effetti e per l’ambientazione che indubbiamente è una novità nel mondo dei kdrama. C’è su Netflix anche la seconda stagione e si sta parlando in questo periodo della terza stagione.
Ma quello che merita più attenzione è senza dubbio
Strangers From Hell

Un vero gioiello senza precedenti è del 2019 tratto da un webtoon e fidatevi se vi dico che un kdrama del genere non lo avete mai visto. Yoon Jong woo cresce in un piccolo paese, ma decide di accettare un lavoro e di trasferirsi a Seoul dove lavora e vive già la sua fidanzata, ma per poter pensare ad un futuro insieme a lei deve risparmiare il più possibili e quindi si mette alla ricerca di un piccolo posto in cui vivere che costi poco. Ovviamente la ricerca non sarà facile e dopo vari fallimenti trova una residenza lontano dal centro città non proprio pulita e accogliente, ma ad un prezzo molto vantaggioso. La padrona della residenza (un’incredibile Lee Jung geun) si presenta come persona vivace, alla buona e disponibile, ma in quella residenza non c’è nulla che sia rassicurante. Oltre ad essere fatiscente è popolata da una serie di personaggi molto, ma molto inquietanti. Dal principio si intuisce che tutto degenererà inevitabilmente e infatti questo drama è un immersione allucinante nella follia generata dalla mente umana e crea un vortice di ansia che ti risucchia completamente. Quella che viene operata su Yoon Jong woo è una lenta operazione di devastazione. Nel cast c’è anche Lee Dong wook che interpreta Seo Moon jo un dentista all’apparenza taciturno, ma tutto sommato normale che in realtà nasconde un sadismo inaudito è che è proprio colui che manovra tutto. ha capito che la mente del ragazzo è manipolabile e vede in lui una creatura da plasmare a sua immagine e somiglianza. Le certezze di Yoon Jong woo iniziano a crollare una dopo l’altra e tu spettatore vedi il suo crollo non sapendo se e come possa resistere. Vi giuro, avrete i brividi fino alla fine. La tensione è altissima, le atmosfere sono allucinanti, i personaggi sono scritti e interpretati perfettamente e quando finisce ti rimangono ancora certe sensazioni addosso. STUPENDO! Tocco finale, la colona sonora è bellissima.
Bene, a tutti coloro che sono arrivati fino a qui dimostrando grandissima resistenza, porgo tutta la mia stima e la mia gratitudine. Per non appesantire eccessivamente il già lungo articolo vi pubblicherò i consigli di lettura nei prossimi giorno nella seconda parte.
to be continued…