“…Se paragonata ai signori d’alta classe e ai vecchi della Corea riunificata desiderosi di far teneramente accarezzare dal suo sorriso i loro animi aridi e pieni di sconforto, So Irhwa in Corea del Nord era appartenuta ad una classe più alta della loro. Scesa al Sud, aveva scoperto che le persone si arrovellavano sui concetti di paradiso e inferno dopo la morte, cosa che le aveva fatto pensare che non c’era alcun posto al mondo che fosse veramente equo a tutti. La distanza tra paradiso e inferno sembrava ancor più grande in Corea del Nord dove, a differenza del Sud, alla gente era insegnato che dopo la morte non c’era niente…”
Il tema della riunificazione della Corea è spinoso e personalmente non credo esista una risposta univoca alla domanda:” Arriverà mai l’unificazione? È possibile?” perché a distanza di 70 anni dalla divisione la variabili in gioco sono talmente tante, complesse e difficili da gestire che forse la domanda giusta da farsi è:”Esiste la volontà di riunificare la Corea?” e secondo me è proprio su questo quesito che l’autore fa ruotare la sua riflessione sotto la trama. Lo fa capire già il genere che ha scelto per raccontare la riunificazione ovvero la distopia, genere tutt’altro che rassicurante. C’è una grande provocazione di fondo ed è proprio quella di andare a stimolare le paure che si nascondono sotto il desiderio collettivo. Paure lecite perché non è sbagliato affermare che ormai le due Coree siano due paesi figli della stessa madre, ma profondamente diversi sia ideologicamente che e soprattutto economicamente e per sviluppo. Riconosco a Lee Eung Jun un grande coraggio in questo approccio che ribalta completamente una visione di anni e anni per tirarne fuori i lati più bui.
Una fantomatica riunificazione improvvisa, senza preavviso si palesa ai coreani che si ritrovano a dover gestire qualcosa che hanno sempre pensato, ma che forse non hanno mai veramente creduto fino in fondo. Le contraddizioni di due paesi che già prima erano evidenti diventano ingestibili. Cominciano flussi migratori da Nord in cerca di abbondanza e libertà verso il Sud e al contrario il Nord diventa zona ambita per i ricchi del Sud che vogliono investire nei territori ancora vergini del Nord rivendicando possedimenti precedenti alla divisione.
La criminalità dilaga, ex membri dell’esercito popolare nordcoreano formano bande criminali con una gerarchia ben definita e con scopi altrettanto delineati (che vi lascio scoprire da voi), trafficando le armi dell’esercito e alimentando il traffico di nuove droghe. La Corea riunificata diventa il palcoscenico di guerriglia urbana e degradazione in cui il sistema politico si frantuma accartocciandosi su se stesso. Il protagonista della storia, Ri Kang, braccio destro del presidente di uno dei due principali clan, nonché nipote di un grande patriota nordcoreano, deve far luce sulla morte di un amico, ma il suo ruolo nella storia è soprattutto simbolico, è la rappresentazione di un sentimento comune, non è innocente in questa società ormai alla deriva, ma cerca di aggrapparsi in qualche modo alla continua ricerca di pace e di un equilibrio che rincorre, ma che cade giorno dopo giorno come i pezzi di un domino.
La responsabilità in questo disastro è comune, nessuno escluso.
Lo stile dell’autore mi ha colpita molto, perché è di forte impatto. Oltre alla scrittura, Lee Eung Jun è appassionato di cinema e ho ritrovato fortissima questa passione nelle pagine del libro che ha un linguaggio decisamente cinematografico, sia nelle descrizioni delle situazioni che nei dialoghi. Mi sono ritrovata molte volte a vedere chiaramente l’immagine che voleva raccontarmi, come una scena di un film dalle tinte noir.
Non è privo di difetti comunque, i personaggi che si muovono nella storia sono tantissimi e nonostante ci sia una guida con la lista dei personaggi, spesso ci si perde e bisogna tornare indietro per capire chi stia facendo cosa, spezzando così il ritmo, soprattutto perché il racconto non è lineare, ma ha continui sbalzi temporali.
Vi sono anche diverse citazioni a personaggi e eventi storici, ma ben supportati da note, soprattutto per chi non ha molta familiarità con la storia coreana.
Nel complesso è un libro che sono felice di aver letto, ma che forse non rileggerei una seconda volta perché difficile da sostenere, non è rassicurante e non vuole esserlo, si spinge al limite, per provocare il lettore, per costringerlo a vedere un lato che non si vorrebbe, chiaramente con tutti gli eccessi letterari tipici della distopia che vanno presi come tali.
“…Questa società ha un bizzarro senso di giustizia. Sono tutti entusiasti se si parla di una grande giustizia…
…Se qualcuno arriva domani e con un colpo di stato militare sale al potere, quanti pensi che saranno gli oppositori? I sudcoreani stanno aspettando con impazienza un secondo Park Chung Hee e probabilmente i nordcoreani sentono la mancanza del secondo Kim Il Sung e il desiderio di quei rispettivi propositi del Nord e del Sud non è quello di avere uno come Ho Chi Min in Vietnam, perché non stanno aspettando un grande uomo, ma un Dio timoroso…”
“… Ri Kang pensò: I nordcoreani e i sudcoreani saranno arrivati a questo punto per caso? Se soltanto diventassero tutti reciprocamente marito e moglie il paese non sarebbe lo stesso. Se solo questa situazione non fosse stata legata al denaro e si fossero presi in considerazione i sentimenti, la divisione della nazione non sarebbe mai avvenuta…”
Esiste la volontà di riunificare la Corea?