cos’era il cinema coreano in epoca coloniale?

Abbiamo spesso parlato dei film che raccontano il periodo coloniale coreano, quindi film usciti recentemente o comunque dopo la liberazione che esponessero la visione, il contesto e i personaggi che l’hanno caratterizzato e segnato in modo indelebile, spesso sacrificando la propria vita in nome della libertà. Ma cosa voleva dire, invece, fare cinema durante il periodo coloniale? Essere un regista, un’attrice o un attore coreano, produrre film in un periodo in cui essere coreani significava di fatto essere un’ombra sempre più lunga e sottile dell’impero del sol levante?

Nel giorno in cui si ricorda la liberazione del 15 agosto 1945 e la proclamazione della Repubblica di Corea del 15 agosto 1948 (argomenti di cui ho già scritto sul blog, quindi vi consiglio di recuperare l’articolo per approfondire l’aspetto storico) parliamo di come il cinema ( ma in generale l’arte, la cultura,) ha vissuto, assecondato o contrastato uno dei periodi più difficili della storia coreana.

Con la fine dell’isolazionismo difeso dal Taewongun, l’apertura dei confini fortemente voluta dalla Regina Min e il conseguente trattato di Kanghwa del 1876, l’influenza della modernizzazione occidentale prende piede anche in Corea, compreso il cinema che entra nella penisola coreana tramite diplomatici e missionari o grandi società a scopo puramente commerciale, sfruttando la crescente curiosità delle persone. Un esempio molto rappresentativo era quello di poter vedere la proiezione di un film straniero mostrando il biglietto usato sulla linea del tram appena installata a Seoul.

I film occidentali venivano diffusi in Corea come prodotti esclusivamente culturali e quando nel 1910 la penisola coreana viene annessa all’impero giapponese diventa un mezzo fortissimo di propaganda. Un grandissimo numero di imprenditori giapponesi fiutano il grande movimento economico della produzione cinematografica e quindi investono in questo campo con il sostegno del governo coloniale che così aveva un canale di comunicazione diretto per dimostrare la grandezza e la prosperità dell’impero e indottrinare il popolo colonizzato, portando avanti il processo di cancellazione della cultura coreana. 

Nel 1920 viene istituito un settore governativo per la gestione dei prodotti cinematografici e tutti i 230 film prodotti fino alla liberazione erano diretti a mostrare la condotta da tenere per essere un buon cittadino giapponese, come in “The plighted love under the moon” del 1923, considerato dagli storici del cinema il primo lungometraggio in terra coreana e che venne prodotto dal governo giapponese per promuovere la salvezza mostrando la rovina del protagonista (coreano ovviamente) che si lascia andare ai piaceri sperperando tutto il patrimonio. Questa proiezione ebbe successo soprattutto perché era una visione obbligata e per obbligata intendo proprio che le autorità coloniali obbligavano la visione per dimostrare obbedienza.

Mentre le sale cinematografiche aumentavano proporzionalmente all’interesse, ci furono chiaramente dei tentativi di produzione interamente coreana, ma i fondi erano scarsissimi e la censura si rafforzava anno dopo anno, quindi non era facile sopravvivere per le case di produzione coreane che erano costrette o a chiudere o appoggiarsi a investitori giapponesi.

Janghwa and Hongryeong

Il primo film considerato interamente coreano per composizione è del 1924 diretto da Kim Hyeong Hwang “Janghwa and Hongryeong ” il testo è tratto da un racconto popolare coreano di fantasmi risalente all’epoca Joseon (che negli anni è stato soggetto di diverse trasposizioni cinematografiche tra cui “two sisters” del 2003), è stato girato in lingua coreana, il cast era interamente coreano, come il regista e la produzione. Uno dei rari casi per altro. Il regista è Park Chong Hyon e insieme a Lee Myeong U e Lee Pil Woon che diedero vita al primo film sonoro “Chunhyang jeon” (del 1935 anche questo trasposizione di una delle più popolari racconti folkloristici e la più famosa storia d’amore della Corea) sono considerati tra i precursori del cinema coreano.

Chunhyang jeon
Chunhyang jeon

Il genere più di successo agli albori degli anni ’20 era il melodramma. “Jade tears” del 1925 è considerato il primo vero melodramma, altre pellicole di grandissimo successo furono “Long Cherished Dream” del 1926 e Mutual Love del 1929. Spesso tratti da romanzi giapponesi, al centro delle trame grandi storie d’amore, quasi sempre tragiche che però erano un grandissimo diversivo per le persone che volevano in ogni modo evadere dalla durissima realtà che li circondava. 

In mezzo a queste produzioni, però, furono prodotti alcuni film che vengono inseriti nel filone nazionalista perché hanno dato linfa vitale ai sentimenti di resistenza e che oggi sono di gran lunga i più ricordati e citati.

Na Woon Gyu

Nel 1926 vede la luce il primo film di questo genere e sicuramente il più famoso. “Arirang” del regista Na Woon Gyu, che nonostante un cambio repentino di tematiche e ideali sul finire della carriera rimane uno dei registi fondamentali del cinema nazionalista coreano. Na Woon Gyu all’epoca ventiseienne ne è produttore regista e anche protagonista. Arirang (che è anche il titolo di una famosissima canzone folk simbolo dell’orgoglio nazionale) ha come tema centrale quello della resistenza che prende forma in un ragazzo che viene arrestato dopo i movimenti del 1919 e che si ritrova coinvolto nell’omicidio di un uomo vicino al governo giapponese in seguito alla violenza subita dalla sorella. Il messaggio è chiaramente quello di rifiuto e della resistenza dei colonizzati verso i colonizzatori.

Arirang
Arirang

Questo fu il primo di alcuni titoli che nonostante le censure sono riusciti ad essere distribuiti. Pellicole come “Boat without a boatman” di Yi Kyuhwan che narra le vicende di un pescatore e dei suprisi della classe dirigente o come il più studiato “search for love” del 1928 dello stesso regista di “Arirang”, Na Woon Gyu, che per le riprese utilizzò più di mille comparse tutte provenienti dal suo paese d’origine, un vero e proprio atto simbolico, una movimentazione contro l’occupazione. È la storia di tre personaggi: un contadino, un trombettista e una ragazza, che combattono contro la perdita di speranza, contro la vita negata nella Corea contemporanea e che cercando di fuggire verso la Cina verranno attaccati e uccisi. Tre vite completamente diverse uniti dalla stessa sorte e dallo stesso sentimento, ovvero la necessità d’indipendenza. Il film fu bandito il giorno stesso della prima proiezione e successivamente riproiettato, ma talmente tagliato dalla censura da perdere completamente la sua natura. Invano si è tentato di restaurarlo finendo poi tra tutti i film di quel periodo completamente perduti. Contemporaneamente e cavalcando l’onda del grande successo di “Arirang” nasce la corrente di film chiamati “di tendenza” come “Wandering” sempre del 1928 e prodotti dalla KAPF acronimo di Korean Art Ploretarian Federation, che tramite le pellicole cercava di diffondere l’ideologia proletaria e socialista e i cui registi erano considerati i leader del movimento artistico proletario.

Search for love

Fu quello il momento in cui il governo coloniale capì che doveva stringere ancora di più la morsa e inasprire le leggi che regolamentavano la produzione cinematografica, che fino a quel momento, essendo film muti, controllava soprattutto le sale cinematografiche per accertarsi che gli oratori che raccontavano il film non facessero discorsi contro l’Impero giapponese. Iniziò una raffica di censure pesantissime, moltissimi film non videro mai la luce e altrettanti registi arrestati. Le licenze furono drasticamente ridotte e i registi costretti alla sola produzione di film filo-giapponesi.

L’unico modo per evitare la forte repressione ed evitare questo obbligo era la produzione di film letterari, quindi trasposizioni letterarie innocue che permettevano di evadere in qualche modo la produzione di film a fini propagandistici, anche se è inutile dire che la percentuale era nettamente inferiore e i fondi infinitamente più miseri.

Le sorti del cinema nazionalista e quello di tendenza della KAPF fu inevitabile, andando verso la disfatta totale, quasi tutti i registi furono arrestati i film banditi e distrutti o rimasti incompiuti. Una volta usciti di prigione la quasi totalità dei registi nazionalisti cambiarono registro iniziando produzioni filo-giapponesi, per poi, in molti casi, morire dopo la liberazione con il titolo di traditori, altri abbandonarono il cinema non sentendo più la forza di continuare a raccontare la repressione.

Ci vorranno anni e il fervore del periodo post coloniale per far rinascere, o forse sarebbe meglio dire nascere, il cinema coreano come lo conosciamo oggi e non credo sarà difficile per voi comprendere il motivo di tanto fervore e il desiderio di raccontare la prima metà del ‘900 con gli occhi di chi non ha potuto farlo in quel momento.

CIAK!

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