Sono le 21.27 del 15 gennaio 2022 sul frecciabianca che mi sta riportando da Roma a Genova concludendo due giorni davvero intensi che hanno rischiato di allungarsi perché il treno che avrei dovuto prendere io è stato fermato, non si è capito bene dove, per una qualche causa non definita, pare collegata al covid. Quindi dopo poche spiegazioni e sinceramente anche poche domande, ci hanno dirottati su quello successivo.
L’imprevedibilità è una circostanza alla quale la pandemia ci ha, purtroppo, abituati e con cui stiamo imparando a convivere.
Prima di riuscire a fare una qualunque cosa che un paio di anni fa sembrava normale, come partecipare ad un evento fuori città, sono necessarie una serie di spergiuri, sperare che i pianeti siano allineati o richiedere l’aiuto di tutte le divinità conosciute per far si che vada secondo i piani e non salti tutto all’ultimo secondo.
Prendere un treno successivo, quindi, mi è sembrato il male minore. Fortunatamente l’evento ha avuto luogo e io sono riuscita ad assistervi.
Mi sarebbe dispiaciuto moltissimo non essere presente ad una delle tradizioni più radicate nella cultura coreana, il 김장 (Kimjang) ovvero la preparazione di grandi quantità di 김치 (Kimchi) da consumare durante l’intero anno.

Assistere al kimjang non vuol dire solo vedere con i propri occhi come viene preparato il kimchi, ma entrare in una dimensione che ti permette di guardare da vicino il cuore pulsante della cultura coreana. Non è solo una serie di azioni che portano al prodotto finale, ci sono tutta una serie di atteggiamenti, di movenze, di preparazioni, attese, di condivisioni che derivano dall’appartenenza, dal legame con la terra che l’ha generato.
Questo lo si percepisce nel primo istante in cui ci si avvicina. Quelle persone in quella stanza non stavano solo preparando una conserva, ma stavano raccontando una storia.
Sono grata di essere stata invitata a viverlo direttamente, perché altrimenti non sarei stata in grado di capire davvero cosa rappresenta.

Quando sono arrivata all’istituto culturale coreano di Roma che ha ospitato l’ACI (Associazione Coreani in Italia) per l’evento organizzato dal presidente Yoo Kyunghun, con l’aiuto della comunità coreana di Roma, sono stata inondata dal profumo intenso e speziato del condimento con cui centinaia di cavoli già sottoposti alla salamoia sarebbero stati ora conditi e messi a disposizione della comunità coreana e degli studenti coreani a Roma che per sentirsi un può più vicini ai sapori di casa potevano andare a prendere il proprio contenitore di Kimchi all’evento.

E qui è racchiuso il concetto portante del Kimjang, che non è la preparazione in se, ma la condivisione. Le famiglie coreane tradizionalmente si riuniscono per preparare questa grande quantità di Kimchi che poi viene divisa. Una tradizione che richiede pazienza, ore di lavoro e che oggigiorno è sicuramente ridimensionata dalla facilità con cui è possibile acquistare il kimchi già pronto, ma che rimane comunque ancorata all’identità di un paese che corre veloce verso il futuro, ma che difficilmente lascia andare il passato.


Parlare con il presidente Yoo Kyunghun e con alcuni membri della comunità coreana di Roma è stato prezioso per riuscire ad afferrare un minimo del sentimento che muove questa tradizione, raccontata anche con un po’ di nostalgia. Non è stato difficile immaginare un tempo lontano sentendoli parlare di come una volta questa pratica era necessità, essendo la vita prettamente rurale e necessitando di metodi di conservazione dei cibi, la fermentazione all’interno degli 항아리 (hangari, le grandi giare di terracotta che spesso si vedono ancora nei cortili delle case e che servivano per conservare vari tipi alimenti, dal kimchi al gochujang, alla salsa di soia e altro ancora) era un grande aiuto per la conservazione a lungo termine. Questa necessità negli anni è diventata, come spesso accade, tradizione e un modo per riunirsi e portare avanti qualcosa che ci identifica.

Proprio mentre ascoltavo questi racconti, mi è venuta in mente la mia infanzia nelle torride giornate di agosto in cui si preparava enormi quantità di salsa di pomodoro per tutto l’anno. Esattamente come per il Kimjang ognuno aveva un suo compito, dalla selezione e il taglio dei pomodori, all’imbottigliamento e sono certa che leggendo queste parole anche moltissimi di voi ricorderanno la stessa identica cosa, pur non essendoci mai conosciuti.
E proprio come per la preparazione della salsa con cui alla fine si preparava un piatto di pasta per provarla, anche con il Kimjang ho avuto l’onore di assaggiare il kimchi appena fatto accompagnato dal 보쌈 (Bossam, un bollito di maiale con cui il kimchi si sposa particolarmente bene) coccolata da una gentilissima 어머니, la mamma di Giulia ( amica, collega e fondatrice di lacoreaa360, preziosa fonte per gli appassionati https://lacoreaa360.com/kimjang-kimchi-cultura-coreana/ ) che sistemava il Kimchi su ogni pezzo di bossam raccontandomi aneddoti sulla preparazione e sulla tradizione della loro famiglia.


Quello dell’assaggio è il momento che ripaga ogni fatica, alleggerita anche da un bel bicchiere di maekgeolli a cui segue qualche risata in più e la soddisfazione di averlo reso possibile.
Normalmente il Kimjang è in autunno, ma per organizzazione e reperibilità del cavolo anche secondo la stagionailtà qui in Italia, hanno sfruttato il primo momento utile per farlo al meglio.
La pandemia ha bloccato molte cose e certamente non rende facile l’organizzazione di eventi, ma ho percepito chiaramente dalle parole del presidente la volontà di ripartire con lo scopo di promulgare la cultura coreana in Italia e farne conoscere quanti più aspetti, ma anche di creare unione tra i due paesi e tra la comunità coreana stessa in Italia, soprattutto le nuove generazioni.

Volontà ed entusiasmo che è sottolineata anche dalla presenza dell’ambasciatore, del console e di una piccola emittente televisiva che trasmetterà le immagini dell’evento in Corea.
Mi sento davvero onorata di essere stata invitata e di poterlo raccontare.
Sì, lo so c’è poco metodo e molto trasporto in questo mio scritto, ma è esattamente quello che volevo emergesse. Il Kimjang ha sicuramente metodo, ma è soprattutto racconto e vi auguro di ascoltalo almeno una volta nella vita.
Momenti davvero preziosi che valgono mille spostamenti di treni.
Ah per completezza, io e Giulia abbiamo continuato a mangiare e bere quel giorno e non c’è niente di più bello che condividere questi piaceri con un’amica.
