Hwang Sok Yong per me è sempre sinonimo di certezza, ho letto tutte le sue opere tradotte ed è uno di quei nomi che faccio per primi quando mi chiedono quale autore coreano leggere.
Ho in libreria “Bianca come la luna” da tempo, l’ultimo titolo che mi rimaneva in attesa che qualcosa venisse tradotto, volevo riservarlo, ma poi ho deciso di inserirlo nel programma di lettura del HyangakBookClub perché l’attesa non ha retto al desiderio di tornare in luoghi che considero casa. Purtroppo, però, qualcosa non è andato come immaginavo e non sono riuscita a ritrovare tra le sue pagine le stesse sensazioni a cui il suo autore mi ha abituata.
La scrittura di Hwang Sok Yong è affilatissima, impregnata di esperienza, di critica sociale e di decenni di vissuto in prima linea. Ecco, questa volta mi è mancata la sua zampata.
La prima edizione coreana di “Bianca come la luna” è del 2007, una manciata di anni dopo un altro romanzo che io sono convinta Hwang Sok Yong abbia pensato insieme, non tanto per la trama, ma per il modo in cui è concepito e per l’espediente utilizzato. Parlo di “Come l’acqua per il fiore di loto” qui in Italia edito sempre da Einaudi e seppur, nel suo caso, in modo meno evidente, ho percepito la stessa difficoltà a capire dove volesse portarmi.
In entrambi i romanzi utilizza la tecnica di passare attraverso la tradizione e il mito per raccontare il contemporaneo.
Nel dettaglio partendo da due personaggi che nella tradizione classica coreana incarnano il sacrificio. Ed è attraverso questo sacrificio che l’autore vuole mettere in risalto alcuni aspetti della società moderna. Nel caso di “Come l’acqua per il fiore di loto” la protagonista è il riflesso di uno dei personaggi più conosciuti e raccontati dalla letteratura, dall’arte, dal cinema, dal teatro: Shim Chong, uno dei simboli del sacrificio e della devozione filiale (principio fondamentale del confucianesimo) e uno dei 열두마당 (i dodici madang) del Pansori, uno dei cinque sopravvissuti al tempo. Una figlia devota che per aiutare il padre ceco sacrifica la sua vita vendendosi a dei mercanti che la vogliono sacrificare alla divinità del mare, il quale mosso dalla devozione della ragazza la rimanda nel mondo terreno all’interno di un fiore di loto.
“Bianca come la luna” invece prende spunto dalla figura della principessa Bari, settima figlia femmina della famiglia reale, viene abbandonata alla nascita dal Re che si aspettava il figlio maschio mai arrivato. La bambina viene portata da un servitore in un villaggio dopo che sua madre le diede il nome Bari che significa “abbandonata”. Bari cresce in una famiglia del villaggio con una sensibilità particolare e quando il servitore anni dopo torna da lei dicendo che il Re sta morendo e che l’unico modo per salvarlo è trovare la fonte dell’elisir di lunga vita, lei parte per un viaggio travagliatissio nel quale incontrerà le persone che le daranno il necessario per concludere l’impresa. Un viaggio negli inferi nel quale dovrà superare prove difficilissime e incontrare anime perse. Viaggio dal quale lei rinascerà più forte riconosciuta come la prima sciamana.
Questo ovviamente in poche righe, ci sarebbe molto da dire su questo mito che fa riecheggiare altri nomi come Caronte e Virgilio per dirne due e sono convinta questo fosse nella mente di Hwang Sok Yong. Se avete letto il romanzo e ricordate la parte finale del tragitto di Bari sulle navi colme di anime, capirete a cosa mi riferisco.
Il mito della Principessa Bari arriva tra le pagine del romanzo tramite le parole della nonna della protagonista e il riflesso della principessa del mito sulla Bari del romanzo è forte soprattutto nella parte iniziale e nelle ultimissime pagine. Lo scopo di questo espediente è, come dicevo prima, sottolineare aspetti di un mondo che gira male, come se nel suo viaggio Bari fluttuasse sopra ciò che di sbagliato creano gli autoritarismi e la cattiva politica che esclude gli ultimi mettendoli ai margini, abbandonandoli proprio come Bari.
La narrazione del romanzo inizia negli anni ’90 in Corea del Nord, anni in cui il paese è stato colpito dalla più grande e dura carestia. In base a quanto appena detto il periodo scelto è un periodo ben preciso in cui la cattiva politica e la sbagliata gestione unita a fattori ambientali ha causato la rovina e la morte di centinaia di migliaia di persone. Lo scioglimento dell’URSS e quindi il mancato supporto dell’Unione Sovietica alla produzione e all’importazione di cibo e altri beni di prima necessità, con le alluvioni che colpirono il territorio, hanno amplificato una gestione politica interna sicuramente non autosufficiente e incapace di affrontare l’emergenza, portando la popolazione a cercare ogni modo possibile per sopravvivere, come attraversare confini e rischiare la morte, ma l’alternativa era rimanere lì e morire di stenti.
Questo è lo scenario dal quale parte la narrazione ed è secondo me la parte più riuscita del romanzo, perché fanno emergere, seppur in modo più flebile rispetto al solito, il Hwang Sok Yong tagliente che prende la Storia e la mostra nei suoi aspetti più oscuri. E soprattutto è la parte in cui emergono le qualità di Bari che rispecchiano la figura dell’eroina che andrà alla ricerca dell’elisir di lunga vita per riscattare gli ultimi e dalla quale ci si aspetta una forza narrativa che però si va perdendo nel corso delle pagine.
C’è un momento in cui avviene un distacco netto tra la prima e la seconda parte del romanzo ed è quello il punto in cui ho iniziato a perdere le coordinate. La storia cambia scenario, ma soprattutto per me perde il mordente. Bari inizia il suo viaggio, che la porterà prima in Cina e poi in Inghilterra, abbandonando completamente tutto lo scenario con il quale si è trovata a confrontarsi inizialmente e non se ne parla proprio più, se non attraverso la figura della nonna che appare ogni tanto e che ha il ruolo di dare a Bari gli elementi che le servono per arrivare alla fonte della sua ricerca. Ovvero lo stesso ruolo che nel racconto del mito hanno i contadini che incontra la principessa in viaggio verso la montagna in cui prendere l’elisir per salvare il padre.
Mi è parso a questo punto iniziassero tutta una serie di vicende un po’ confuse e slegate che rimangono in superficie non trovando mai il focus. Tutta l’aura mitica legata al racconto tradizionale e alle qualità sensoriali di Bari che la legano al mondo ultraterreno, rimane un contorno troppo debole che non riesce a caratterizzare ne il suo personaggio ne le storie che le vorticano attorno. Non solo l’esperienza della sua infanzia viene accantonata, ma forse la stessa Bari perde la voce e mentre si procede nella lettura aspettando che la scelta di usare questo espediente si concretizzi in qualcosa di dissacrante e satirico, destabilizzante come lo erano le premesse e soprattutto la cifra stilistica dell’autore, si rimane infine con un po’ di frustrazione per una storia che promette cose che sembra non riuscire a restituire.
Non sono sufficienti le ultime pagine in cui la voce di Bari torna ad essere la voce principale a tenere insieme i tanti elementi. La sensazione è quella che Hwang Sok Yong sentisse l’urgenza di parlare di molte cose, molto grandi, ma che non sia riuscito a dare unità. Cosa che invece è caratteristica preponderante nella sua produzione. Il modo in cui questo grandissimo autore riesce a usare la scrittura per unire la storia, anche autobiografica, con l’attualità, la critica sociale, l’attivismo (essendo anche stato imprigionato per il suo pensiero e la sue opere) e la narrativa è unico. Con questo non voglio dire che debba rimanere incastrato in uno schema, ma a questo punto avrei preferito un distacco totale dalla sua cifra, piuttosto che un’opera tiepidina che forse non soddisfa né l’uno né l’altro aspetto.
Detto questo io sono sempre convinta che la lettura di un libro non debba essere preclusa da nessun punto di vista, ogni esperienza è differente come lo sono le aspettative, quindi provate.
Il mio legame con questo autore è molto profondo e per questo la mia visione riflette quello che negli anni ho amato e cercato tra i suoi libri e soprattutto quello che ho imparato a riconoscere e ad aspettarmi.
Ma nonostante tutto il mio disappunto finita questa lettura, Hwang Sok Yong rimane per me casa.