La stampa nel periodo coloniale.

Subisco moltissimo il fascino della storia moderna e contemporanea e una delle cose che più mi attrae è la storia editoriale soprattutto dei quotidiani che, osservandoli nel loro arco di vita, mostrano quello che era lo specchio di un momento storico, ma anche il modo in cui i quotidiani stessi sono cambiati nei decenni a volte anche allontanandosi molto dalla spinta ideologica iniziale. Da sempre la stampa è uno dei primi obiettivi di controllo da parte dei poteri. La forza della parola scritta fa paura ai potenti non tanto per il fatto di finirci dentro, ma perché è fatta per arrivare a quello che è potenzialmente il loro più grande nemico: il lettore. Chi legge fa propria un’informazione, la elabora e può agire, ecco perché la stampa è intrinsecamente legata alla storia della censura. In alcune epoche storiche più che in altre, in alcune aree geografiche più che in altre, ma è così dalla sua nascita. 

Anche l’annessione della Corea da parte del Giappone ha ridefinito inevitabilmente le relazioni con i giornali che erano un mezzo diretto con il quale il Giappone, avendone grande controllo, poteva diffondere la propria visione di gestione, la politica coloniale e nello stesso tempo avere in mano la relazione quotidiano/potere e quindi potere/cittadini. Il primo passo fu dunque cancellare i media, soprattutto nazionalistici, coreani. Ricordiamo che gli storici riconoscono tre fasi del dominio giapponese: gli anni ’10, fase in cui il Giappone doveva gettare le fondamenta per portare avanti il progetto di assimilazione e quindi anni piuttosto duri, gli anni ’20, quindi la fase che segue immediatamente al movimento del 1 marzo 1919 e che ha portato ad un lieve allentamento per cercare di mantenere saldo il controllo che stava invece rinforzando l’attivismo per l’indipendenza e poi la fase finale da ’30 al ’45 che è stata la fase più aggressiva con l’Impero giapponese sempre più stretto attorno alla sua politica di espansione.

Dunque gli anni ’20 sono quelli in cui alcune forme espressive e alcuni ruoli all’interno della società furono “restituiti” ai coreani.

Ed è proprio il 1920 che vede la nascita di alcuni dei quotidiani che hanno raccontato e restituito al popolo informazioni da elaborare e quindi un pensiero da costruire. 

Sui giornali, quotidiani o periodici, non scrivevano solo giornalisti, ma studiosi, letterati, poeti. Erano una porta d’ingresso alle menti dei lettori e spesso le novelle stesse erano intrise di messaggi nascosti e di metafore che potessero resistere al controllo della censura che comunque era parte integrante del processo di pubblicazione. Ovviamente non era possibile esprimere liberamente un pensiero dichiaratamente critico nei confronti del governo coloniale, ma si poteva provare ad aggirarlo. Moltissimi autori di cui abbiamo già parlato hanno iniziato scrivendo su giornali: Yi Sang e Yi Kwang Su tanto per fare un paio di nomi.

Cè stata una fase pre coloniale che ha sicuramente ispirato e influenzato la nascita dei quotidiani successivi. Come il più famoso e importante “Dongnip Shinmun” fondato nel 1896 da Seo Jae Pil di cui sono certa abbiate già incontrato da qualche parte l’immagine della prima edizione.

prima edizione del Dongnip Shinmun

Il primo quotidiano moderno in un momento storico di transizione e forte trasformazione in cui la Corea si stava aprendo al mondo, con tutti i risvolti positivi e negativi che vanno dalla modernizzazione all’invasione. Il Dongnip Shinmun era pubblicato sia in coreano che in inglese (sotto il nome di “The Indipendent”) perché il suo fondatore trascorse in esilio qualche anno negli Stati Uniti in seguito al fallimento del colpo di stato di Gaspin nel 1884 e tornato in Corea, a partire dal 1895, decide di fondare il giornale e di farne un’edizione anche in inglese.

Era un giornale progressista e indipendente che usciva a giorni alterni.

Attraversò diverse fasi e iniziò il suo declino nel 1898 quando pubblicò dei documenti segreti in cui denunciava i piani russi e giapponesi per esigere concessioni dal governo coreano. Seo Jae Pil fu espulso dal paese e l’anno successivo il giornale chiuse.

Questo ovviamente a grandi linee, ci sarebbe molto da dire, ma volevo darvi un’idea di quello che fu il terreno che ha poi dato forma ai quotidiani degli anni ’20 del ‘900, quando il Giappone, a questo punto già in pieno controllo della penisola coreana, cambiò la regolamentazione concedendo i permessi per la stampa di giornali privati. Nacquero così i primi due giornali storici ancora oggi operativi: il Dong-A Ilbo e il Chosun Ilbo.

Come vi dicevo prima, questa concessione non deriva, ovviamente, da un reale segno di liberalizzazione, ma anzi era un modo per contenere e controllare il sentimento di rivolta e indipendenza figlio del movimento del 1 marzo del 1919. Di conseguenza uno dei temi che ripercorre la storia editoriale di questi giornali e che ne ha causato più volte la sospensione, fu proprio il controllo da parte del Giappone Imperiale sul concetto di formazione di pensiero e di argomentazione.

Il Chosun Ilbo tra l’altro è stato fondato proprio nel mese di marzo del 1920, quindi si centra benissimo in questo progetto di dedicare, tra Instagram e il blog, questo mese al periodo coloniale.

prima edizione Chosun Ilbo

Fu un giornale di critica e opposizione alle azioni del governo durante il periodo coloniale e per questo la sua pubblicazione non fu continua. Le critiche maggiori erano contro l’uso della forza nei confronti dei cittadini di nazionalità coreana e la prima sospensione arrivò a settembre del 1920, a pochi mesi dalla prima edizione. 

Il giornale continuò la sua linea editoriale e nel 1927 arrivarono i primi arresti.  An Jae Hong era all’epoca editore e capo redattore, pubblicò un articolo durissimo sulle condizione dei carcerati che gli costò a sua volta la prigionia. Entrò e uscì dal carcere diverse volte e nel giro di tre anni i vertici del giornale cambiarono più volte.

Come vi dicevo prima gli anni dal ’30 al ’45 sono stati i più difficili in termine di libertà perché furono quelli in cui il Giappone voleva concretizzare l’assimilazione della cultura giapponese e la cancellazione di quella coreana. Lo fa attraverso una serie di azioni politiche concrete in cui l’istruzione giapponese diventò l’unica riconosciuta e obbligatoria. Non era dunque più possibile utilizzare il coreano come lingua anche, anzi soprattutto, per la stampa. La risposta del Chosun Ilbo fu quella di stampare 100 mila libri di testo in coreano e a livello nazionale. Nel 1940 la sospensione del Chosun Ilbo venne dichiarata a tempo indeterminato e solo dopo la liberazione nel 1945 tornò in attività. Per fare qualche numero in vent’anni di attività (durante il periodo coloniale) è stato sospeso quattro volte e sono state confiscate le sue pubblicazioni per più di 500 volte.

prima edizione del Dong-A Ilbo

Il destino del Dong A Ilbo è analogo, fondato sempre nel 1920 con il motto “Per il popolo, per la democrazia e la cultura”, era il giornale in cui per i primi anni di operato ha scritto anche Yi Kwang Su. La prima sospensione arriva subito, nel 1920, per un articolo in cui, in modo provocatorio, si criticava alcuni rituali importati in Corea dalla cultura giapponese.

Ma la prima sospensione grande è del 1926 in seguito ad un messaggio celebrativo per l’anniversario del movimento del 1 marzo 1919. Diciamo che i toni del Dong-A Ilbo erano ancora più provocatori e l’apice di questa provocazione, che ha portato anche alla chiusura del giornale, è arrivata nel 1936 con un fatto eclatante di cui si parla moltissimo ancora oggi. 

Il caso di Sohn Kee Chung, il corridore coreano rimasto nella storia per essere il primo ad aver vinto una medaglia olimpionica, per di più d’oro, durante le Olimpiadi di Berlino del 1936. Di nazionalità coreana, ma membro della delegazione giapponese, vista la situazione della Corea dell’epoca. Gareggiò quindi con il nome giapponese Kitei Son. Non fu la sola vittoria però perché sul podio con la medaglia di bronzo c’era un secondo atleta coreano, Nam Sung Yong. Le vittorie furono accreditate al Giappone nel conteggio delle medaglie. Fu un caso eclatante perché Sohn si rifiutò di riconoscere l’inno giapponese tenendo la testa bassa per tutta la premiazione e il Dong-A Ilbo ha pubblicato in prima pagina la foto di Sohn sul podio cancellando la bandiera giapponese sulla divisa dell’atleta. Questo ha scatenato ovviamente le ire del governo giapponese che fece arrestate quasi tutta la redazione bloccando le attività del giornale.

Il declino fu inevitabile e nel 1940 il giornale chiuse e riaprì dopo la liberazione nel 1945.

Entrambi questi giornali hanno poi avuto molte fasi successive alla liberazioni, per esempio nel periodo delle dittature militari e successivamente, prendendo posizioni anche contrarie e venendo criticati più volte e magari oggi hanno perso la forza ideologica che i vari periodi storici hanno alimentato, ma questa è un’altra storia che magari affronteremo nei momenti dedicati agli altri periodi. Mi sembrava però interessante aprire una piccola parentesi che possa stimolarvi ad approfondire su chi e come veniva affrontata la stampa durante il periodo coloniale. Soprattutto per quanto riguarda quelli che sono considerati i maggiori quotidiani del paese. 

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